Belesso Maria Seconda – Madre M. Ancilla
Sono entrata in Congregazione il 25 marzo 1943 con 19 anni, non avevo alcuna esperienza sociale, spesso sono stata ferita a causa delle mie inadeguatezze e della mia ingenuità mentre venivo formata tra sorelle che avevano molta esperienza della vita e dell’apostolato.
Oggi sono grata per la fede e la spiritualità che si sono profondamente radicate in me e che cerco di condividere con chi ne ha bisogno!
Ho sempre cercato di trasmettere speranza e umiltà in ogni situazione, se mostravo delusione verso me stessa o verso il prossimo a causa degli errori o delle negligenze, m’impegnavo ad accettare tale debolezza, per essere pietra angolare e sentirmi in continua crescita.
“Ora, il Paradiso!”. Quando la mia famiglia si trovava in difficoltà prima dei miei voti perpetui, ho pensato di abbandonare la mia vocazione per compassione; quel periodo fu per me una frustrazione che però ha rafforzato la mia debolezza vocazionale e allo stesso tempo è stata un’occasione per riflettere sull’essere di Dio e vivere come suo strumento. Chiesi di poter rinnovare i voti ancora un anno, prima della professione perpetua, a conclusione del quale ho riflettuto e riconosciuto profondamente che la mia vita era orientata al Cielo e non a questo mondo, convinzione sempre viva nel mio cuore, ancora oggi!
“Tutto dalla mangiatoia!”. Quando per la prima volta fui missionaria in Corea, incontrai una situazione molto difficile, il dolore della guerra non era ancora passato e tutto era ancora in fase di restauro a causa del caos e delle rovine causate dai conflitti, incontrai una società ridotta alla sopravvivenza in cui non vi erano né casa, né persone, né apostolato… sentii come se dovessi partire dalla povera stalla di Nazareth, furono necessarie una fede forte, molto sacrificio e tanto amore!
Quando celebrai il 25° Giubileo di consacrazione, posso dire di aver vissuto il giorno più triste della mia vita, a causa delle difficoltà legate alla costruzione della casa di Gesù Maestro, ma questo fu da stimolo per comprendere sempre più che per vivere e predicare il Vangelo erano necessarie: semplicità, fiducia e gentilezza, e man mano che il numero dei membri aumentava, per svolgere l’apostolato, imparavamo anche a fidarci reciprocamente.
Molte volte abbiamo avuto bisogno dell’aiuto del Giappone in campo apostolico, un aiuto ricevuto sempre con tanta generosità! Ricordo una volta, quando dovevamo pagare lo stipendio agli operai, andai in banca a prelevare tutto lasciando il conto completamente vuoto, lo feci per obbedienza, io, personalmente, avrei lasciato un minimo in vista di qualche emergenza, ma nell’obbedire ho sperimentato ed imparato che il Signore riempie solo lì dove è necessario!
La mia stanza era quasi completamente vuota, come se stessi per partire, con l’atteggiamento di un servo, pronto ad accogliere Dio ogni qual volta volesse visitarmi!
Condividevo la grande povertà dei primi tempi, a volte era forte il desiderio di voler porre dei fiori sull’altare il giorno prima di Natale, ma, non avevamo neanche un vaso! Un giorno, ne trovai uno rotondo, bianco, con dei fiori dipinti, la mia felicità era così grande che non si può spiegare, così lo sistemai e lo posi sull’altare… finché non mi dissero che in realtà non era altro che un vaso in porcellana che nell’antica cultura coreana serviva come vaso da notte!
“Mi dispiace. Essere umana è così debole…”. Quante difficoltà agli inizi, con le giovani in formazione con la quale era difficile comunicare a causa della scarsa conoscenza della lingua. La mia forte personalità ed i miei problemi di salute legati al diabete, mi causarono molte difficoltà, facendo emergere la mia permalosità di fronte alle azioni ed alle incomprensioni con le giovani! Le sorelle coinvolte in queste situazioni trascorrevano giornate pesantemente avvolte da profonde e dolorose ferite; prima di andare a letto, consapevole del dolore provocato, mi avvicinavo loro a chiedere perdono e toccando le loro mani dicevo: “Mi dispiace! Non è perché non ti voglia bene, ma le mie reazioni sono il risultato del mio carattere e della mia scarsa pazienza!”. Dando poi una pacca sulla spalla aggiungevo: “Sono umana, per questo non sono abbastanza capace!”.
Così chiedevo perdono e mi riconciliavo, questo era il mio atteggiamento per vivere in pace con le sorelle, specialmente con le più giovani; provavo a seguire il Vangelo, umilmente, con i miei limiti e cercando di dare sempre il buon esempio…
(testimonianza di madre Ancilla)
Nel 2003 Madre Ancilla, accompagnata da suor M. Giliana Mason ha fatto rientro in Italia e, dopo aver visitato la famiglia si è stabilita a Sanfrè dove, dopo aver vissuto l’apostolato della sofferenza, anziana e malata ha raggiunto il Paradiso il 1° Settembre del 2014.