Padre, che nel tuo Figlio crocifisso
annulli ogni separazione e distanza,
aiutaci a scorgere nel volto di chi soffre
l’immagine stessa di Cristo,
per testimoniare ai fratelli la tua misericordia.
Nelle letture di questa domenica risuona una parola che per millenni ha suscitato spavento: “lebbra”. Il brano tratto dal libro del Levitico ci fa capire che era considerata fonte d’impurità: la norma d’isolare il lebbroso mirava a preservare la santità del popolo di Dio. Ben diverso l’atteggiamento di Gesù nel Vangelo: si espone alla vicinanza dell’inavvicinabile, non mantiene fredde distanze. Una sola parola sarebbe bastata a guarirlo: invece tende la mano e lo tocca. Non ha paura di contaminarsi: toccando ama, amando lo guarisce. Un’antica iscrizione greca definisce Dio “Colui la cui mano lenisce il dolore”. È lo stesso gesto che ritroviamo nel bacio di san Francesco d’Assisi all’uomo afflitto da lebbra: solo l’amore può superare le barriere. Solo nello sguardo di una persona che ci ama possiamo tornare a vivere. Su quest’atto supremo di condivisione si erge anche una parola decisiva: “Lo voglio, sii purificato!”. È un bagliore dell’autorità divina del Maestro, che ispira a Marco il velo del segreto messianico: la via per conoscere Cristo non è quella dei miracoli, ma quella della croce. Si è identificato a tal punto con l’umanità da diventare lui stesso un reietto. Così ci ha salvato da ogni male.
La lebbra viene presentata tradizionalmente come immagine della colpa che deturpa l’immagine di Dio in noi. Su questa linea oggi chiediamo al Padre di risanarci dal peccato che ci divide e dalle discriminazioni che ci avviliscono. E preghiamo con il salmo responsoriale: “Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia”.
Sr. M. Rosangela Bruzzone