O Padre, che hai costituito il tuo Figlio pastore e re dell’universo,
donaci di riconoscerlo nel più piccolo dei fratelli,
perché, quando egli verrà nella gloria,
ci accolga nel suo regno di risurrezione e di vita.
Perché una festa per Cristo Re, se tutto l’anno liturgico già celebra il mistero della salvezza? La Chiesa vuol ricapitolare l’intero anno, che inizia e finisce con la visione della venuta del Signore nella gloria: non un cerchio chiuso, ma una spirale che costantemente orienta la sua traiettoria verso la meta. Il Vangelo di Matteo, che ci ha accompagnato domenica dopo domenica in questo ciclo A, termina con una promessa di Gesù: “Io sono con voi fino alla fine del mondo”. Non solo Egli è presente nella Scrittura e nei Sacramenti, ma ha scelto di abitare nella fragilità umana: si manifesta nascondendosi in chi ha bisogno, appello alla nostra responsabilità.
La parabola di oggi è una scena potente e drammatica: il giudizio universale come svelamento della verità ultima sulla condizione umana. Dio non condanna, ma “separa”, come il pastore divide le pecore dai capri. Che cosa resta di noi alla fine? Solo l’amore dato e ricevuto! “Avevo fame e mi avete dato da mangiare …”: Gesù elenca non atti eroici, ma gesti quotidiani che rispondono alla domanda su cui si regge la Bibbia: “Che hai fatto di tuo fratello?”. Il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza.
Cristo giudice distingue chi ha imitato il suo cuore misericordioso e chi no. Può farlo perché conosce bene le sue pecore, come descrive il profeta Ezechiele. Egli prepara per i giusti il banchetto del cielo (la “mensa” del salmo 22) dove saranno accolti quando Dio sarà “tutto in tutti”, secondo la concisa e radiosa sentenza di san Paolo nella seconda lettura.
Sr. M. Rosangela Bruzzone