O Dio, creatore e Padre di tutti,
donaci lo Spirito del tuo Figlio Gesù,
venuto tra noi come colui che serve,
affinché riconosciamo in ogni uomo
la dignità di cui lo hai rivestito
e lo serviamo con semplicità di cuore.
L’ultimo discorso che Gesù rivolge alla folla nel tempio è una messa in guardia da scribi e farisei, una raccolta d’invettive contro quegli avversari che tante volte lo avevano contraddetto e messo alla prova con tranelli. Nella linea dei profeti che condannavano i sacerdoti indegni, come fa Malachia nella prima lettura, il Signore denuncia con franchezza i loro limiti formulando tre accuse. La prima è l’incoerenza: “dicono e non fanno”, la loro condotta contraddice il loro insegnamento. Poi l’ipocrisia: recitano una parte senza esserne convinti; annullano la Parola di Dio con minuziose prescrizioni legali imposte sulle spalle dei piccoli e dei semplici. Infine la vanagloria: esibiscono filatteri e frange “per essere ammirati dalla gente”, si compiacciono di essere chiamati “rabbi”.
Queste parole interpellano anche noi, nella misura in cui lo spirito farisaico ci abita. Ciascuno, in un modo o nell’altro, ha una qualche autorità da esercitare. Nessuno è immune dalla tentazione di farsi servire anziché servire, di mettersi in mostra, di fregiarsi di titoli. Ma la Chiesa non dev’essere una fotocopia del mondo, bensì una comunità alternativa in cui non ci si salva da soli, ma si accoglie la vita da un unico Padre e la si condivide con gli altri, tutti fratelli, tutti discepoli di un solo Maestro, uguali in dignità. Commovente la testimonianza di Paolo offerta dalla seconda lettura, in cui confida ai Tessalonicesi: “Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre. Avremmo desiderato trasmettervi non solo il Vangelo, ma la nostra stessa vita”.
Sr. M. Rosangela Bruzzone