Signore nostro Dio,
che nella tua grande misericordia
ci hai rigenerato ad una speranza viva,
accresci in noi la fede nel Cristo risorto,
perché credendo in lui abbiamo la vita nel suo nome.
In questa domenica della divina Misericordia, che chiude la solenne ottava di Pasqua, la pagina evangelica descrive la prima apparizione del Risorto ai suoi discepoli. Sono chiusi nel cenacolo perché hanno paura e non aspettano nessuno: con la morte di Gesù tutto è finito. Ma Lui viene, entra, porta vita nuova, dona la pace. Le sue ferite aperte narrano il suo amore, la sua capacità di perdono. Ristabilisce i rapporti interrotti: a Tommaso incredulo offre il proprio corpo da toccare, ma nello stesso tempo lo invita ad oltrepassare l’elemento fisico. E dalle labbra dell’apostolo affiora la professione di fede cristologica più alta di tutto il Vangelo: “Mio Signore e mio Dio!”. Beati quelli che credono senza vedere: la fede è il rischio di essere felici. La fede pasquale, eredità ricevuta nel fonte battesimale, ci colma di gioia, anche se siamo afflitti da varie prove, afferma san Pietro nella sua lettera. Noi non vediamo ma speriamo: l’ascolto della Parola, la preghiera unanime e perseverante, l’Eucaristia, la condivisone – i capisaldi della vita comunitaria tratteggiati nella prima lettura – ci dicono che siamo amati e possiamo imparare ad amare. Perciò accogliamo l’invito del salmo responsoriale: “Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre”.
Sr. M. Rosangela Bruzzone