O Padre, che con amorevole cura
ti accosti all’umanità sofferente
e la unisci alla Pasqua del tuo Figlio,
insegnaci a condividere con i fratelli il mistero del dolore,
per essere con loro partecipi della speranza del Vangelo.
Se non ci fosse il male sulla terra, chi penserebbe a Dio? Nel Vangelo di oggi Gesù è come assediato da un mare di sofferenza e di miseria. Nella casa di Simone, simbolo della comunità ecclesiale, ne guarisce la suocera dalla febbre. Con un gesto semplice, affettuoso, umanissimo: ne afferra la mano e la fa alzare, silenziosamente la invita a risorgere. Poi esce per curare i malati e gli indemoniati di Cafarnao, che quella sera diventa la capitale del dolore dell’umanità. Questa prossimità di Gesù alle singole persone ed alle folle è la risposta di Dio Padre al grido di Giobbe: “Ricordati che un soffio è la mia vita” (cf prima lettura). “Cristo ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie” (canto al Vangelo). Sulla croce ha dato un senso nuovo al dolore: non di castigo, ma di redenzione.
Anche di fronte alle scoperte della scienza, frutto di una ricerca volta a migliorare la qualità della vita, i malati li avremo sempre con noi. Uniti a Cristo, costituiscono le membra più preziose della Chiesa. Però non vanno lasciati nella loro solitudine: hanno bisogno di cure e ancor più di speranza. Sull’esempio di san Paolo, che si è fatto “debole per i deboli”, siamo chiamati a manifestare tenerezza verso chi soffre, a preparare il giorno in cui Dio asciugherà ogni lacrima, ad intercedere come le sorelle di Lazzaro: “Signore, colui che tu ami è malato!”.
Sr. M. Rosangela Bruzzone