“Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”
O Dio, che sempre ascolti la preghiera dell’umile,
guarda a noi come al pubblicano pentito,
e fa’ che ci apriamo con fiducia alla tua misericordia,
che da peccatori ci rende giusti.
Domenica scorsa, la liturgia della Parola ci invitava a perseverare nella preghiera. Il testo evangelico di oggi completa l’insegnamento sulla preghiera: bisogna certamente pregare, e pregare con insistenza. Ma questo non basta, bisogna pregare sempre di più. L’umiltà è la prima virtù che da’ qualità alla preghiera: essere convinti della propria povertà, della propria imperfezione e indegnità. Nella lettura del Siracide, Dio ascolta la preghiera del povero, soprattutto del povero di spirito, cioè di colui che sa e si dichiara senza qualità, come il pubblicano della parabola.
La preghiera del pubblicano, che Gesù approva, non parte dai suoi meriti, né dalla sua perfezione ma dalla giustizia salvatrice di Dio, che, nel suo amore, può compensare la mancanza di meriti personali: ed è questa giustizia divina che ottiene al pubblicano, senza meriti all’attivo, di rientrare a casa “diventato giusto”, “giustificato”.
S. Agostino ci avverte: «Il servirsi di molte parole nella preghiera equivale a trattare una cosa necessaria con parole superflue. Il pregare consiste nel bussare alla porta di Dio e invocarlo con insistente e devoto ardore del cuore. Il dovere della preghiera si adempie meglio con i gemiti che con le parole, più con le lacrime, che con i discorsi. Dio infatti pone davanti al suo cospetto le nostre lacrime, e il nostro gemito non rimane nascosto a Lui, che tutto ha creato per mezzo del suo Verbo e non cerca le parole degli uomini».
Sr. M. Lidia Natsuko Awoki, pddm