O Padre, sul palmo della tua mano
sta scritto il nome di ogni tuo figlio:
fa’ che nel misterioso intrecciarsi
delle libere volontà degli uomini
nessuna autorità abusi della propria forza
e ogni potere si ponga sempre
a servizio del bene di tutti.
Nel Vangelo i farisei chiedono a Gesù se è lecito o no pagare il tributo a Cesare. Credono che la questione possa risolversi con un sì o un no, coglierlo in fallo con una parola-trappola. Se il Maestro risponde che non è lecito potrà essere denunciato all’autorità romana come sobillatore, se risponde che è lecito perderà la stima del popolo. Ma lui smaschera la loro ipocrisia: “perché mi tentate?”. Si fa mostrare la moneta con l’effigie dell’imperatore. Gli accusatori si ritrovano accusati, perché nel luogo sacro del tempio tenevano ciò che è proibito. E la sentenza diverrà proverbiale: “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. La vera rivoluzione non è quella di chi non paga tasse ingiuste, ma di chi non usa il potere per i propri interessi (come faranno i capi, consegnando Cristo nelle mani di Pilato). Gesù non dà ricette sul comportamento politico, lo trascende. Di fronte a Cesare c’è un ordine più alto, quello di Dio. I cristiani sono figli, non schiavi: stanno nel mondo senza essere del mondo, la loro vera cittadinanza è nei cieli.
Uno solo è il Signore. A Lui obbediscono tutti i capi, come Ciro, re di Persia, che Isaia nella prima lettura presenta strumento inconsapevole scelto da Dio per favorire il suo popolo. Del Signore è l’immagine impressa in noi, da ravvivare con l’operosità della fede, la fatica della carità e la fermezza della speranza, come esorta san Paolo nella seconda lettura.
Sr. M. Rosangela Bruzzone