O Padre, che prometti vita e salvezza
a ogni uomo che desiste dall’ingiustizia,
donaci gli stessi sentimenti di Cristo,
perché possiamo donare la nostra vita
e camminare con i fratelli verso il tuo regno.
Il Vangelo presenta una parabola. Un uomo ha due figli. Chiede al primo di andare a lavorare nella vigna: lui acconsente a parole (“sì, signore”) ma poi non va. Il secondo ha una reazione adolescenziale (“non ne ho voglia”), ma poi, superando il suo sentire, va al lavoro. Gesù provoca gli interlocutori ad una presa di posizione: “Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”. C’è differenza tra il dire e il fare! Questo rovesciamento rispecchia la situazione in cui pubblicani e prostitute sorpassano i farisei. Si entra nel regno non per la propria coerenza, ma per il proprio pentimento. Il primo passo è accorgersi dell’ambiguità che abita il nostro cuore: c’è sia il sì sia il no. Tutti e due i figli sono contradditori, ma il secondo sa ricredersi ed assume le proprie responsabilità. La fede non ci chiede di non sbagliare e di non peccare (cosa impossibile!), ma di riconoscere l’errore e di confessare il peccato. Perciò il pentimento è segno non di debolezza ma di coraggio, forza, libertà interiore.
È importante saper cambiare idea: il Signore accoglie il malvagio che torna a compiere il bene, dice il profeta Ezechiele. Il modello proposto da Paolo nell’inno di Filippesi è Cristo, che fu tutto un sì: rinunciando all’uso della sua potenza divina divenne solidale con noi fino al punto di farsi ultimo, di morire come un malfattore. Solo Lui, afferma il salmo responsoriale: “guida gli umili secondo giustizia, insegna ai poveri le sue vie”.
Sr. M. Rosangela Bruzzone